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Nemo propheta in patria

Alberto Castagna (23 dicembre 1945 - 1 marzo 2005)Oggi sono trascorsi dieci anni dalla morte di un personaggio molto amato e discusso della televisione italiana: Alberto Castagna. Nonostante il successo fosse arrivato durante gli anni con Mamma Rai, nel 1994 entrò a far parte della grande famiglia di Mediaset, dove fu elevato agli onori del gossip per la sua conduzione del programma televisivo cult Stranamore. Dal 1998 le sue condizioni di salute hanno visto alti e bassi, fino al 1 marzo 2005 quando morì all'età di 59 anni per un'emorragia interna. Al di là delle critiche che la stampa e l'opinione pubblica di quegli anni gli aveva sempre riservato, a me piace ricordare Alberto per una cosa che disse il 26 gennaio 2005, durante la presentazione della nuova serie di Stranamore.

Forse consapevole del suo stato di salute precario, credo che abbia voluto togliersi l'ultimo sassolino nella scarpa prima di chiudere gli occhi, dicendo cose che gettarono scandalo su di lui e lo costrinsero a fare marcia indietro presentando scuse ufficiali.

Alberto era stanco e deluso della televisione di quegli anni. Disse di voler smettere per via della bassezza morale che la televisione aveva toccato in quegli anni. La TV spazzatura sembrava l'unico modo di lavorare, i telegiornali erano ridotti a rubriche rosa e asservite al potere. Anche i programmi impegnati, che un tempo ospitavano personaggi di spicco, li sostituirono con tronisti e soubrettine senza arte ne parte. Se la prende coi colleghi presentatori e giornalisti, ma anche con il sistema che non offre alternative educative per chi ha in mano il telecomando. Critica una televisione che ha fatto del televoto una specie di credo e che ogni anno lavora alacremente per cercare nuovi volti da sovrapporre a quelli dell'anno precedente, visto che presto o tardi il pubblico si accorge della loro vacuità.

Frasi scandalose all'epoca, ma se rilette dopo la sua morte fanno trasparire l'onesta di un uomo che non ha più nulla da perdere o da temere. Le parole di Alberto suonano come il J'Accuse di Emile Zolà, diretto però non al presidente della repubblica Felix Faure, ma alla televisione intera. Oggi più che mai le sue parole sembrano una fotografia quanto mai veritiera in cui i soliti tuttologi allestiscono processi nei talk show e i maître à penser plasmano l'opinione pubblica. Gli spettatori, infarciti di reality e gossip, hanno acquisito in toto il linguaggio della televisione e coltivano l'ossessione morbosa di conoscere i segreti più nascosti dei personaggi pubblici, la cui vita privata, più o meno artefatta, è prima smembrata poi messa in vetrina perché la gente la possa osservare, conoscere e criticare.

Con l'avvento della televisione commerciale siamo stati un po' tutti risucchiati in questo vortice ed abbiamo perso di vista un fatto importante. La TV è nata negli anni '50 con uno scopo sociale e la sua missione era intrattenere il pubblico elevandone il livello culturale. La Rai iniziò il suo mandato domenica 3 gennaio 1954, quando era l'unico canale ricevibile in Italia. Allora però si chiamava Programma Nazionale. Quel giorno alle 14:30 Fulvia Colombo, poi diventata poi la Signorina Buonasera, diede il via alle trasmissioni ufficiali della Rai con la celebre frase: "La RAI Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive".

Oggi assistiamo a zuffe tra Uomini e Donne che, diversamente vestiti, si tirano i capelli e si insultano in vernacoli coloriti, elevando il loro comportamento a modelli di integrità e autenticità morale.

Probabilmente Alberto avevi sbagliato in una cosa sola: ritrattare le tue esternazioni.