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I videogiochi al tempo del colera

Diablo 3 (Blizzard Entertainment, 15 maggio 2012)Sono passate già due settimane dal lancio dell'ultima fatica della Blizzard Entertainment, Diablo 3. L'attesa è stata veramente lunga, ben 12 anni sono passati dal giugno del 2000, il mese dell'uscita del capitolo precedente, però sembra che ne sia valsa la pena. La software house californiana ha sfornato un prodotto di tutto rispetto, lo stato dell'arte per quel che riguarda l'intrattenimeto videoludico.

L'uscita è stata notevolmente rallentata da altri cantieri aperti su World of Warcraft e Starcraft II, altri capitoli che raccolgoo folte schiere di appassionati nel mondo. Inoltre, a fomentare un'attesa già di per sé smisurata, il genio commerciale della Blizzard ha prodotto anche un'edizione limitata per i collezionisti più incalliti, contenuta in una teatrale scatola bianca comprendente vari e imperdibili gadget. Detto ciò ho dovuto provare anch'io Diablo 3 e devo dire che la prima partita mi ha lasciato un po' di amaro in bocca.

Lungi da me produrmi in una descrizione dettagliata dell'universo di Diablo o dal recensirne il terzo capitolo. Mi limiterò a mettere per iscritto le mie osservazioni, in quanto anche io sono stato un gran consumatore di videogiochi, anche se in tempi passati.

Il barbaro (Diablo 3)Il primo impatto è stato da pelle d'oca, la grafica e le musiche sono travolgenti, l'azione adrenalinica, la storia accattivante ed inizia subito nel più elevato stile gotico. Tuttavia chi gioca un RPG ha in mente una cosa sola: la configurazione del personaggio. Un vero appassionato spenderebbe ore a vagliare le infinite possibilità, opzioni, variabili e scelte che permettono di creare un personaggio tutto particolare. La scelta è da subito molto ristretta, giusto il sesso per non fare torti a nessuno e la classe. I personaggi sono molto stereotipati, il barbaro riveste esattamente il ruolo che i disegnatori del gioco hanno pensato per lui, forgiandolo come un primitivo pieno di muscoli e cicatrici, coperto di ferro, pelli e pelliccia. Se un giocatore sceglie una classe di fatto abbraccia in toto quello che i designer avevano nella testa quando l'hanno concepita.

Il gioco si rivela subito pieno d'azione, ma ciò che realmente manca è la variabilità. Inizio con lo stregone e mi accorgo presto che non sto affatto impersonando il tipico topo di biblioteca, debole ed emaciato, che prima di azionare i muscoli fa lavorare il cervello. Il mago è una macchina da guerra, picchia come un fabbro e spara dardi manco fosse Rambo. Senza stupirmi molto raggiungo presto il quinto livello, quasi dimentico del mio ruolo di arcano incantatore. L'inventario e l'interfaccia utente sono molto avanzati e funzionali. I dialoghi sono recitati da voci teatrali ma sono precalcolati e non riflettono l'indole del personaggio. Non esiste un allineamento morale che detti a grandi linee la condotta del personaggio e non esiste la possibilità di decidere come comportarsi nei dialoghi. Tutto sembra studiato per dare la massima resa nell'esperienza di gioco ed azione

Eye of the Beholder II - Legend of Darkmoon (Westwood Associates, 1991)Questo punto da spazio a molte riflessioni. Non c'è modo di influenzare la trama del gioco, che scorre implacabile come gli avversari che si precipitano contro di noi in folte schiere. Per uno abituato ai videogames vecchio stile è una semplificazione tremenda. Chi ha giocato a Eye of the Beholder (Westwood Associates, 1990) non può astenersi dal paragone. Ben 22 anni sono passati da allora ma non si possono dimenticare gli enigmi e le sfide che tolsero il sonno a migliaia di giocatori, come il labirinto delle Margoyle del Tempio di Darkmoon e la stanza delle nove pedane nelle catacombe del tempio di Eye of the Beholder II (Westwood Associates, 1991). Gli esempi potrebbero essere ancora tantissimi. All'epoca non esistevano i forum su Internet, tutto quello che avevamo erano le riviste cartacee con le loro recensioni e l'angolo dei trucchi. Chi finiva un gioco postava la soluzione alla rivista che la pubblicava con gran plauso degli altri lettori. Le mappe erano disegnate su carta e con fogli e matita si facevano i calcoli per la progressione di livello.

Degna di nota era la procedura di generazione dei personaggi. Anche se molto approssimativa se confrontata con quella di Baldur's Gate II - Shadows of Amn, tuttavia ricalcava già molto fedelmente la procedura descritta nel set di regole Eye of the Beholder II - Presentazione iniziale con Kelben di Advanced Dungeons & Dragons (2° Ed), il che era un grosso vantaggio rispetto ad un sistema di regole arbitrario. Il popolo nerd apprezzò particolarmente questo aspetto. Naturalmente erano giochi più naive e pieni di exploit, voluti o meno, che davano la possibilità di aiutarsi nei momenti più difficili. I veri duri si facevano vanto di conoscerli tutti ma di non averli mai usati. Inoltre c'erano i benchmark. Quando usciva un gioco nuovo era sempre confrontato con il termine di paragone che all'epoca era Dungeon Master (FTL Games, 1987), quindi centinaia di recensori si spendevano in commenti, confronti e giudizi che rendevano il paragone più oggettivo possibile.

Molto è cambiato da allora, anche il popolo dei videogiocatori non è più lo stesso. Oggi produrre Diablo 3 costa come un colossal del cinema e bisogna andare incontro ai gusti della maggioranza per potersi garantire un mercato. La diffusione di massa dei videogiochi e delle console ha trasformato in videogiocatori molti utenti che non hanno più la pazienza di sedersi a tavolino, sfogliare riviste e disegnare mappe a matita. Il gioco deve essere dinamico e pieno di azione, pensare è qualcosa che non è più compatibile con i videogiochi. D'altra parte, qual è stato l'ultimo videogioco rompicapo uscito negli ultimi anni?