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Avventure che fanno schifo
Anche il GdR non è esente dagli errori di gioventù. Quando penso alla mia travagliata esperienza di DM non posso evitare di pensare alle avventure più scalcinate che avevo proposto ai miei PG. In questo periodo della vita propongo a me stesso una lettura edificante: Come scrivere avventure che non facciano schifo. Una lettura sicuramente stimolante per chi ha scritto molte avventure ed è giunto all'età in cui si fanno i bilanci. Esso contiene i consigli pratici di 25 autori esperti su come si dovrebbero scrivere avventure di tutto rispetto. Oggi le storie che invento sono destinate principalmente ai miei figli, però imparare dagli errori di gioventù potrebbe rendermi oggi un narratore migliore.
Quando a 15 anni scrivevo le mie avventure, di solito tutto partiva da un'intuizione, un'idea, una bozza non ben definita. Se l'idea era buona, sentivo la voglia di raccontarla, di metterla in scena e farla vivere inserendola in qualche avventura. La mattina, mentre percorrevo la strada per andare a scuola, la mente lavorava sui dettagli e le idee si facevano man mano più nitide. Una volta a casa c'era giusto il tempo prima dei compiti per riordinare le idee, sfogliare i manuali in cerca di qualche datteglio, buttare giù una mappa e via. Pronti per andare in scena.
Ricordo tanta passione, eppure mancava sempre qualcosa. Oggi penso che il più grosso errore fosse quello di sottovalutare il blocco creativo. Come succede agli scrittori, anche il DM poteva essere a corto di idee.
Probabilmente a me succedeva più spesso di quanto pensassi. In effetti non c'era molto tempo per curare i dettagli. In quegli anni preferivamo AD&D alla cara vecchia BECMI, quindi mi trovavo spesso dietro il master screen con più campagne parallelamente in corso, gruppi diversi con esigenze diverse ed approcci molto eterogenei al gioco. E no, non si potevano riciclare le idee perché alcuni giocatori erano in entrambi i gruppi.
Tante volte non c'era tempo per pianificare le cose, tanto meno sviluppare un hex-crawl che tale potesse definirsi, quindi occorreva ricorrere all'improvvisazione. Non era nemmeno possibile sviluppare un filo conduttore tra le avventure perché di volta in volta i PG cambiavano. Il risultato era che a volte, qualche avventura, poteva anche fare schifo.
Scrivere avventure indimenticabili non è semplice e non è nemmeno pensabile che, nel corso di una settimana già piena di impegni e doveri, un DM adolescente trovasse il tempo per sfornare un capolavoro a settimana. Certo ci sarebbero dei trucchi per prendere tempo, per dare colore alla narrazione giocando su emozioni diverse dall'adrenalina della battaglia, ma come tutte le buone idee necessitano di una buona pianificazione. C'era molta letteratura fantasy in circolazione da cui si poteva imparare come comunicare ai giocatori un'atmosfera. E soprattutto non basta definire orribile un polipo alato fischiante per suscitare immediato terrore nei giocatori. La narrazione necessita di stile.
Oggi so che ci sono diversi profili di giocatore e che non tutti cercano la stessa cosa. C'è l'accumulatore di tesori, l'esploratore, il socializzatore e quello che deve creare problemi. Accontentarli tutti è difficile, ma è l'unico modo per tenerli attaccati al tavolo, evitando che si ingozzino di patatine come tacchini o che inizino a regolare i conti in sospeso.
Anche all'epoca le soluzioni a portata di mano c'erano. I moduli avventura già pronti, spesa che il DM, unico finanziatore delle imprese dei PG, non poteva accollarsi continuamente. Imparare dal lavoro di chi scriveva avventure per professione sarebbe stata un'esperienza molto edificante, tuttavia lo sforzo economico per l'acquisto dei manuali di base fu già cosa non da poco.
La lettura dell'atlante dava sempre molti spunti e suggerimenti utili a costruire un contesto coeso e coerente, ma a quell'età era difficile rimpiazzare l'idea che ci eravamo fatti di Faerûn con ciò che i suoi autori originali avevano pensato. AD&D vantava una serie di pubblicazioni, moduli e manuali per qualsiasi cosa. Si poteva inserire in un'avventura una traversata del Grande Deserto e far scoprire ai PG come le tribù beduine di Anauroch allevano i cammelli o fare conoscenza con le loro usanze più stravaganti, sempre ammesso che i PG fossero interessati. Per certe cose però occorreva masticare un po' di inglese, visto che non tutto arrivava in italiano.
In aggiunta a tutto ciò c'erano le mappe. Il mio archivio storico era per la maggior parte su carta, quindi ancora consultabile oggi. Quanti labirinti sono rimasti inesplorati, misteri insoluti, fanciulle ormai in età da nipoti che ancora aspettano l'avvento dei loro eroi. Oggi guardo quelle mappe e rido perché sembrano l'opera di una risma di goblin bendati che scavano a caso tunnel perfettamente squadrati. Se un sotterraneo è costruito con uno scopo, allora la sua forma dovrebbe rifletterne il fine. Corridoi che deviano, girano o si intrecciano in modo labirintico saranno anche semplici da pensare e magari offrire qualche spunto per imboscate o trappole, però sarebbero poco credibili.
Il bello di quegli anni era che non c'erano regole. Nessuno criticava davvero l'operato del master perchè in fin dei conti non è che i giocatori avessero molte alternative. A trent'anni di distanza penso ancora ai super cattivi che avevo creato. Tempo fa, parlando in rete su un canale che si occupa di GdR pensavo a quanta magia ci sia in quel mondo e quanto debba essere bello per un gruppo di veterani tornare a dare la caccia ai loro arci nemici che ancora li aspettano, sebbene invecchiati, ancora ai loro posti di combattimento.
Disegnare le avventure in quegli anni era un modo per far correre la fantasia, creare legami e divertire gli amici, e forse non era poi tutto sbagliato.