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L'ultimo avventuriero
Oggi ricorre il decennale dalla dipartita di un uomo che negli anni '80 è stato per me sinonimo di avventura. Un conduttore televisivo ma soprattutto un esploratore, documentarista, navigatore e scrittore: un avventuriero. La storia di quest'uomo è stata costellata di imprese e conquiste, alcune gli portarono fama e notorietà, altre lo misero al centro del dibattito, ma lui non smise mai osare, scoprire e divulgare. Dalla traversata oceanica in solitaria a bordo della Surprise nel 1973 alla purtroppo fallita conquista del Polo Nord a piedi nel 1983 insieme al suo fidato Siberian Husky di nome Armaduk, quest'uomo ha colmato le pagine della fantasia dei ragazzi che tra gli anni '70 e '80 ancora sognavano l'avventura.
Nel 1992 viene coinvolto in uno spaventoso incidente in Turkmenistan durante il raid Pechino - Parigi da cui esce quasi completamente paralizzato. A ciò fa seguito il 25 febbraio 1993 la scomparsa del suo fidato cane Armaduk. La sua voglia di avventura però è più grande, continua a rimanere attivo sulla scena, senza mai arrendersi e sempre sognando di potersi un giorno rialzare e ricominciare a camminare con le proprie gambe. Il 24 agosto 2005 muore per un infarto cardiaco e con lui se ne va l'ultimo avventuriero della mia infanzia.
Ambrogio Fogar è stato un personaggio a suo modo chiacchierato, discusso e parodiato. Le critiche arrivarono per le sue imprese, a volte al limite della follia per un mondo che considerava l'avventura alla stregua di uno sgambetto della tecnologia, che voltando le spalle puntava il dito su un fatto inequivocabile: siamo solo piccoli uomini in un mondo grande ed impervio. Se Ambrogio avesse avuto le tecnologie moderne probabilmente sarebbe potuto arrivare sulla Luna ma forse si sarebbe comunque limitato a questo nostro pianeta che aveva tanto amato. Questo era proprio il messaggio che quest'uomo ha lasciato in me. Il mondo è un bel posto e vale la pena di lottare per esso.
Forse oggi vedere in TV un fuoristrada che arranca nel fango della giungla tropicale, una moto che attraversa il deserto dell'Asia centrale o una barca a vela che solca gli oceani boreali cercando di avvistare balene e capodogli non genera più tutto quello stupore che nasceva in me guardando le puntate di Jonathan Dimensione Avventura.
Se oggi fosse ancora vivo, se fosse sempre stato in salute, avrebbe continuato ad esplorare e documentare. Forse avrebbe tante storie, imprese e avventure in più da raccontare, pagine da scrivere e ricordi da conservare. Ambrogio non aveva la fisicità di una Fiammetta Cicogna, o la pulsione per il mistero delle cose di Roberto Giacobbo, non sensazionalizzava i posti che attraversava ma ne faceva notare la bellezza incontaminata ed autentica, e ne trasmetteva l'amore e la voglia di preservarlo. Incontrava popoli, persone e culture remote, mostrava meraviglie che oggi diamo per scontate solo perché divenute facilmente accessibili o immediatamente raggiungibili con una semplice ricerca su Google!, ma che ai suoi tempi erano prerogativa esclusiva di chi aveva i mezzi e le forze per raggiungerli.
I giovani erano il suo pubblico più attento, forse anche il più sensibile al fascino dell'estremo e della natura. I suoi contributi sul Corriere dei Piccoli, le parodie di Gianfranco d'Angelo a Drive In e i suoi programmi televisivi lo hanno reso immortale ed hanno contribuito a forgiare quell'immagine di lui che ancora oggi popola i ricordi di chi l'ha potuto conoscere.